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  • Immagine del redattoreAlice Rondelli

True crime con nonchalance

Cos’hanno in comune Gonzalo Lira, morto di polmonite in una prigione ucraina e Alexei Navalny, deceduto per cause naturali in una prigione russa? Nella ricetta per la ricerca della verità, l’ingrediente segreto (ma non troppo) sono sempre gli Stati Uniti e il colpevole, il maggiordomo.


ph. 'Camp: Note on Fashion', MET Museum, New York City 2019 (Alice Rondelli)

Il cileno-americano Gonzalo Lira, nato in California nel 1968, è stato un eminente commentatore della guerra tra Russia e Ucraina imprigionato il primo maggio 2023 in Ucraina per discorsi critici nei confronti del governo del Paese ed è morto il 12 gennaio 2024 in un ospedale di Kharkiv, dopo settimane di negligenza medica da parte delle autorità ucraine. Lima era rimasto in detenzione per otto mesi con l’accusa di giustificare gli sforzi bellici russi attraverso la «produzione e diffusione di materiale che giustifica l’aggressione armata della Russia contro l’Ucraina», contribuendo a galvanizzare l’opposizione interna ai finanziamenti statunitensi per la guerra.

 

Il 12 gennaio 2024 The GrayZone news ha pubblicato un articolo di Alexander Rubinstein che titola: “Il cittadino americano Gonzalo Lira muore per negligenza in una prigione ucraina”.

Rubinstein scrive: «Una nota scritta da Lira e fornita da suo padre (…) indica che la sua morte è avvenuta dopo una battaglia di quasi tre mesi contro la polmonite, una condizione che apparentemente era stata ignorata dai suoi carcerieri ucraini fino a poche settimane prima della sua morte. Il decesso di Lira è stato rivelato da suo padre, Gonzalo Lira Sr., che aveva trascorso diverse settimane supplicando l’ambasciata americana di intervenire nell’emergenza medica di suo figlio. Le email esaminate da The Grayzone mostrano che, dopo aver appreso della malattia di suo figlio, il 3 gennaio il signor Lira ha esortato l’ambasciata ad intervenire, mentre le autorità ucraine sembravano sforzarsi di nascondere le informazioni su Lira Jr. alla sua famiglia e ai suoi rappresentanti legali.

Dalla prigione di Kharkiv non vennero fornite informazioni sullo stato di salute di Gonzalo Lima per dodici giorni da quando il padre aveva saputo della malattia del figlio. Finalmente, a metà gennaio l’uomo venne portato in ospedale e gli fu permesso di incontrare il suo avvocato, al quale consegnò una nota scritta di suo pugno nella quale spiegava la sua situazione.

Nella lettera si legge: «Ho avuto una doppia polmonite, così come uno pneumotorace e un caso molto grave di edema. Tutto questo è iniziato a metà ottobre, ma è stato ignorato dal carcere. Hanno ammesso che avevo la polmonite solo durante l’udienza del 22 dicembre. Sto per sottopormi a una procedura per ridurre la pressione dell’edema nei polmoni, che mi sta causando una mancanza di respiro tale da farmi svenire dopo un’attività minima, o anche solo dopo una conversazione di pochi minuti».

Nonostante il padre di Lima avesse chiesto ripetutamente all’ambasciata americana di monitorare la situazione del figlio, il 12 gennaio ricevette la notizia della sua morte.

 

Viene da chiedersi come mai se nel caso di Gustavo Lima l’ambasciata americana non si sia minimamente interessata alla sorte di un suo cittadino, Biden si sia addirittura dato la premura di incontrare personalmente Julija Naval’naja in seguito al decesso del marito, Aleksej Navalny, in un carcere russo.

 

Aleksey Navalny (nato il 4 giugno 1976 in Russia e morto il 16 febbraio 2024 nella Siberia nordoccidentale) è stato un avvocato, attivista anti-corruzione e politico. Il padre era un ufficiale dell’esercito sovietico e la madre un’economista. Si è laureato in giurisprudenza nel 1998 e nel 2001 ha conseguito una laurea in economia. Nel 2000 si è unito a Yabloko, un partito politico che promuoveva la democrazia liberale e l’economia di mercato di cui, in seguito, divenne leader locale, per poi essere espulso nel 2007 con l’accusa di aver danneggiato il partito con “attività nazionalistiche”, inclusa la partecipazione a una marcia di estrema destra.

Nel 2008 Navalny avviò una campagna di attivismo che prendeva di mira le entità statali quotate in borsa. Acquistando una piccola quantità di azioni in ciascuna società, aveva ottenuto l’ingresso nelle assemblee degli azionisti e una volta lì, aveva interrogato i funzionari aziendali sulle incoerenze nella rendicontazione finanziaria e sulla mancanza di trasparenza nella gestione e nella contabilità, documentando i suoi sforzi in un blog che divenne molto popolare.

Nel dicembre 2010 Navalny lanciò il sito web di denuncia RosPil, che poneva l’attenzione sui casi in cui gli appalti statali sembravano essere stati aggiudicati in modo corrotto, e nel quale aveva esortato i suoi seguaci a sostenere qualsiasi partito diverso da Russia Unita, del quale Putin è il leader. Nel giugno 2012 fu uno dei tanti esponenti dell’opposizione le cui case vennero perquisite dalle forze dell’ordine e, in seguito, fu sottoposto a indagine penale per sospetto di corruzione.

Il 17 luglio 2013, Navalny annunciò la sua candidatura a sindaco di Mosca e il giorno successivo fu dichiarato colpevole di appropriazione indebita e condannato a cinque anni di reclusione, ma venne immediatamente liberato in attesa dell’udienza del suo appello, permettendogli così di perseguire la sua candidatura a sindaco. L’8 settembre 2013 Sergey Sobyanin, vinse la rielezione a sindaco di Mosca con il 51,3% dei voti, mentre Navalny è arrivato secondo con il 27,2%. Nell’ottobre dello stesso anno venne confermata la sua condanna per appropriazione indebita e, seppure la corte ne sospese la pena detentiva, gli fu impedito di candidarsi a una carica elettiva nell’immediato futuro. Nel dicembre 2014 ricevette una condanna con pena sospesa di tre anni e mezzo per accuse di frode e suo fratello Oleg venne incarcerato per tre anni e mezzo per lo stesso reato. Nonostante non esistano prove concrete del fatto che le condanne di Navalny fossero frutto di un complotto ai suoi danni, la stampa non smise mai di indicare Putin come il burattinaio dietro le decisioni della magistratura.

Nel 2018 i funzionari elettorali russi stabilirono che Navalny non poteva sfidare Putin per la presidenza a causa della sua condanna.

Nell’agosto 2020, mentre stava conducendo una campagna in Siberia (in vista delle elezioni regionali previste per settembre di quell’anno), Navalny si ammalò gravemente durante un volo da Tomsk a Mosca e i test confermarono che era stato esposto al novichok, un complesso agente nervino. La famiglia di Navalny lo fece trasportare a Berlino, dove rimase in coma farmacologico per riprendersi. Il Cremlino, nonostante le ferventi accuse, ha sempre negato di essere coinvolto nel presunto avvelenamento.

Durante la convalescenza in una clinica tedesca, Navalny ha lavorato con Christo Grozev, del gruppo di giornalisti investigativi Bellingcat per scoprire i dettagli dell’attacco a base di novichok. Grozev e la sua squadra sostenevano di aver smascherato diversi agenti del Servizio di sicurezza federale russo (FSB) coinvolti nell’avvelenamento, aggiudicandosi nel 2019 lo European Press Prize Investigative Reporting Award per l’inchiesta Unmasking the Salisbury Poisoning Suspects: A Four-Part Investigation. Il perno dell’indagine si incentrava sulle presunte confidente di un funzionario russo che avrebbe detto: «Tutto sarebbe andato diversamente se non fosse stato per l’atterraggio d’emergenza dell’aereo a Omsk e per il frettoloso intervento del personale medico di emergenza».

È da notare che la squadra di Bellingcat (in collaborazione con il partner investigativo russo Insider), aveva deciso di identificare i due uomini misteriosi che secondo il governo britannico erano i principali sospettati dell'avvelenamento di Navalny. Il coinvolgimento del Regno Unito, visti i pregressi (come avvenne per l’Operazione Gladio, in Italia) fa sorgere qualche dubbio sulla bontà del lavoro dei giornalisti. In sostanza, era stati i servizi segreti britannici ad indicare ai giornalisti chi fossero i responsabili dell’avvelenamento di Navalny. Tra l’altro, il giornalista investigativo bulgaro Christo Grozev nel 1991 è stato uno dei fondatori e amministratore delegato della prima stazione radio commerciale della Bulgaria, Aura, affiliata all’Università americana in Bulgaria e nel 1994 è stato assunto dalla società americana Metromedia della quale, in seguito, è stato nominato Direttore Regionale e Vice Presidente. Insomma, i due ingredienti principali della narrativa contro Putin non mancano: Stati Uniti e Gran Bretagna, guarda caso. A marzo 2013 il sopravvissuto all’avvelenamento ed eroe della resistenza a Putin, Navalny, venne celebrato nell’omonimo documentario, vincitore dell’Oscar, di Daniel Roher.

 

Il 17 gennaio 2021 Navalny tornò in Russia e venne arrestato dai servizi di sicurezza e condannato a tre anni e mezzo di colonia penale. I funzionari della prigione russa hanno affermato che Navalny non si era presentato loro durante il suo ricovero in Germania e ciò costituiva una violazione dei termini della sua pena sospesa nel 2014. Nel giugno 2021 un tribunale di Mosca stabilì che qualsiasi gruppo legato a Navalny sarebbe stato etichettato come “organizzazione estremista” e ai suoi membri sarebbe stato impedito di candidarsi. Occorre fermarsi a indagare il perché di questa decisione.

 

Dice Jade McGlynn (ricercatrice specializzata in politica russa al King’s College di Londra) a Euronews: «L’immagine idealizzata di Navalny è in conflitto con le sue dichiarazioni passate». McGlynn fa riferimento alle controverse opinioni di Navalny riguardo i musulmani nel Caucaso, i georgiani e i migranti dell’Asia centrale in Russia.  Secondo McGlynn, le dichiarazioni di Navalny derivano dalle sue origini politiche nel movimento nazionalista, il cui slogan era: “Russia per l’etnia russa”. Chiunque si aspettasse che Navalny fosse un perfetto democratico liberale occidentale si sbagliava: il suo sentimento ultranazionalista era evidente già in un video risalente a circa 18 anni fa, pieno di commenti xenofobi.  «Tutto ciò che si trova sulla nostra strada dovrebbe essere rimosso con attenzione, ma decisione attraverso la deportazione», aveva detto Navalny nel video in cui compariva vestito da dentista, paragonando gli immigrati alle carie dentali. Sulla base di quella clip, nel 2021 Amnesty International ha privato il leader dell’opposizione dello status di «prigioniero di coscienza».

Inoltre, «l’opinione pubblica georgiana si è sentita tradita da Navalny dopo la guerra russo-georgiana del 2008», afferma Kornely Kakachia (professore di scienze politiche all’Università Statale di Tbilisi), «tutti si aspettavano che Navalny fosse anti-Putin e antimperialista, ma lui ha sostenuto l’invasione». Navalny, tra l’altro, aveva appellato i georgiani come “roditori”.

I suoi commenti incendiari sugli immigrati e sui georgiani, riemersero nel maggio 2023, quando la figlia di Navalny, Dasha, venne invitata a parlare alla Georgetown University di Washington. Gli studenti avevano presentato una petizione contro la selezione del relatore, chiedendo una nomina meritocratica e dicendo che «essere anti-Putin non implica essere un leader filodemocratico, pacifista e liberale».

Se da un lato Navalny ha ripetutamente accusato Putin e la sua cerchia ristretta di “succhiare il sangue dalla Russia”, trasformandola in uno “stato feudale”, Putin, d’altro, ha continuamente bandito Navalny e la sua Fondazione anticorruzione (FBK), definendo il movimento una “noiosa pseudo-indagine”. 

 

Nel marzo 2022 Navalny venne dichiarato colpevole di nuove accuse di frode e oltraggio alla corte, e condannato a nove anni di “colonia penale a regime severo” nel carcere di massima sicurezza IK-6 a Melekhovo, a circa 240 km a est di Mosca. Nel dicembre 2023 gli avvocati di Navalny hanno dichiarato di avere perso i contatti con lui per quasi tre settimane, prima di apprendere che le autorità russe lo avevano trasferito in una colonia penale nel circolo polare artico, meno di due mesi prima della sua morte.

 

Torniamo all’incontro tra Biden, Julija Naval’naja e sua figlia Dasha avvenuto a San Francisco il 22 febbraio 2024. Sul sito web della Casa Bianca si legge: «Il presidente Biden (…) ha espresso la sua ammirazione per lo straordinario coraggio di Aleksey Navalny e per la sua eredità nella lotta contro la corruzione e per una Russia libera e democratica in cui lo Stato di diritto si applica equamente a tutti. Il Presidente ha sottolineato che l’eredità di Aleksey continuerà attraverso le persone in tutta la Russia e nel mondo che piangono la sua perdita e lottano per la libertà, la democrazia e i diritti umani. Ha affermato che la sua amministrazione annuncerà domani nuove importanti sanzioni contro la Russia in risposta alla morte di Aleksey, alla repressione e all’aggressione della Russia e alla sua guerra brutale e illegale in Ucraina».

Il giorno successivo, sul sito web del Dipartimento di Stato Americano si scrive: «Esiste un chiaro legame tra l’autoritarismo russo, la sua repressione interna del dissenso e la sua aggressione all’estero. Oggi imponiamo alla Russia costi aggiuntivi sia per la repressione interna che per l’aggressione straniera. Il Dipartimento di Stato sta sanzionando tre persone in relazione alla morte di Navalny nella colonia penale russa IK-3: il direttore della prigione, il capo della prigione regionale e il vicedirettore del servizio penitenziario federale della Russia. Inoltre, il Dipartimento sta imponendo sanzioni a più di 250 entità e individui, compresi quelli coinvolti nell’evasione e nell’elusione delle sanzioni e coloro che sostengono la futura produzione energetica e mineraria della Russia. Insieme a queste azioni, il Dipartimento sta sanzionando diversi individui per promuovere la responsabilità per atti a sostegno della guerra della Russia, compresi coloro che sono coinvolti nel trasferimento illegale e/o nella deportazione di bambini ucraini (…). Inoltre, il governo degli Stati Uniti sta emettendo una consulenza aziendale per aiutare le aziende a prendere decisioni informate riguardo ai rischi di condurre affari in Russia».

Insomma, la morte di Navalny ha offerto agli Stati uniti l’occasione per imporre sanzioni ad alcuni cittadini e aziende russe (azione che, vale la pena ricordarlo, non trova fondamento nel diritto internazionale); per fare esattamente ciò che l’Ucraina ha fatto nei confronti di Gonzalo Lima: ovvero, punire coloro i quali si macchino della colpa di sostenere, in qualsivoglia modo, le ragioni della guerra della Russia in l’Ucraina; sanzionare coloro i quali siano coinvolti in non si capisce bene quale faccenda relativa al traffico di bambini ucraini (della quale, a tutt’oggi, non esiste alcuna prova); e, infine, ingerire negli affari delle aziende che vogliono continuare a fare affari con la Russia.

In quest’ottica, la morte di Navalny appare come un bel colpo di fortuna per gli Stati Uniti!

 

Ray McGovern è un attivista che scrive e tiene conferenze, tra le altre questioni, sulla guerra e sul ruolo della CIA ed ha conseguito un Master in Studi russi presso la Fordham University, un certificato in Studi teologici presso la Georgetown University e si è laureato all’Advanced Management Program della Harvard Business School. Celebre per la sua analisi della guerra in Iraq e sul ruolo della CIA nel provocare la guerra, McGovern ha paventato che dietro la morte di Navalny possa esserci la mano dei servizi segreti britannici.

 

Intervento di McGovern dal minuto 2:35 (frase di riferimento 3:28)

 

Maria Pevchikh, giornalista russa e Presidente della Fondazione AntiCorruzione dal marzo 2023, ha affermato che Alexey Navalny al momento della sua morte fosse vicino alla liberazione, grazie ad uno scambio pianificato di prigionieri tra USA, Germania e Russia, che prevedeva lo scambio di Navalny e di due cittadini statunitensi con un ex ufficiale del Russian Federal Security Service (FSB), Vadim Krasikov detenuto in Germania per omicidio. Il 26 febbraio gli Stati Uniti hanno confermato di avere inviato a Mosca una proposta per il rilascio di Paul Whelan e Evan Gershkovich, due americani trattenuti in Russia con l’accusa di spionaggio. A farsi carico della conferma è il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Matthew Miller, che però non ha commentato in merito all’inclusione di Navalny nella proposta.

Alla luce di queste rivelazioni, rimbalzate sulla stampa mondiale, viene da chiedersi quale ragione avesse Putin di far uccidere Navalny proprio alla vigilia dello scambio.

 

Il certificato di morte di Navalny redatto dalle autorità russe parla di «decesso per cause naturali».

Kyrylo Budanov, capo dei servizi segreti della difesa ucraini, ha dichiarato che Navalny è morto «sfortunatamente» a causa di un coagulo di sangue, lasciando intendere che purtroppo non si possa continuare a sostenere che si sia trattato di un avvelenato su mandato di Putin. Budanov ha aggiunto che un «regime stabile in Russia rappresenta una minaccia per l’Ucraina e per il mondo», avvalorando l’ipotesi che Navalny potesse essere al soldo di chi vuole il rovesciamento del governo russo per fini personali, aggiungendo che «finché saremo in guerra, ci saranno problemi all’interno della Federazione Russa».

 

Dunque, mentre la stampa ha sprecato fiumi d’inchiostro per addebitare a Putin la morte dello xenofobo Navalny, quella del povero Gonzalo Lima è passata praticamente in sordina e, forse, non si accerterà mai se ci sia stata una precisa volontà del governo ucraino di lasciar morire il suo detrattore in una squallida prigione per un reato d’opinione, senza che la Casa Bianca muovesse un dito per tutelare i diritti di un cittadino americano.

 

Seppure il “Lima True Crime” sia passato quasi inosservato agli occhi dell’opinione pubblica, complice la solita stampa occidentale compiacente nei confronti del padrone di casa, è bene ricordarsi che l’assassino è sempre il maggiordomo.

 

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