La sorte dei gazawi, straziati dalla cieca e brutale violenza del governo, dei militari e dei civili israeliani, ci mostra la nostra stessa natura, ciò che possiamo essere o scegliere di non essere.

Una delle tante definizioni di "amore" riportate dal dizionario Treccani enuncia: «Nella tradizione filosofica occidentale l’aspirazione suprema dell’amore è verso la bellezza, che può manifestarsi tanto nella forma fisica quanto in quella spirituale».
Ma se il concetto di “bello” è relativo, non può che esserlo anche quello di “amore”. L’amore non esiste se non nelle forme, nei concetti e nei sistemi di idee che sono stati assegnati a questa parola, via via nel tempo, dai vari filosofi, letterati, musicisti, religiosi, individui… Da noi, insomma. L’amore è noi e noi siamo l’amore. Qualunque cosa questo significhi.
Secondo il dizionario Treccani: «Con il termine Resistenza si fa riferimento alle molteplici azioni di lotta, di guerriglia, di sabotaggio e di opposizione che, durante la Seconda guerra mondiale e a lato del conflitto vero e proprio tra eserciti contrapposti, furono condotte, per lo più da ampie frange delle popolazioni civili, nei Paesi occupati dalla Germania nazista e dall’Italia fascista».
Ma come si può, verosimilmente, far risalire il concetto di resistenza a tempi così moderni?
Non si può, per lo stesso motivo per il quale l’amore non esiste: noi siamo la resistenza e la resistenza è noi, o meglio: in noi, come l’amore. Entrambi non sono decisi, ma decidono. Entrambi nascono con l’uomo e con la sua estinzione periranno. Si resiste all’oppressore per amore di un’idea e si ama l’idea per la quale si è disposti a combattere, magari sacrificando la propria stessa vita. Per questo motivo non può esistere amore senza resistenza, né tanto meno resistenza senza amore.
Scrive Giuseppina Lombardo Radice nell’introduzione al testo di Sofocle, Antigone (scritto nel 442 a. C.): «E allora, sul teatro dei vivi, si leva Antigone. La risposta non poteva che essere una sola: la santa trasgressione di Antigone. La purità del suo gesto si disegna, lontana, su un cielo offuscato. Il rito funebre è stato compiuto. In difesa dell’amore contro l’odio, della carità religiosa contro l’empietà disumana, della giustizia contro l’arbitrio. Poiché la tirannia è sempre arbitrio, anche – e più che mai – quando di legalità si maschera e si ammanta. E Antigone, in ceppi, risponde a Creonte, il giudice: Ma è – per tutti i tempi e per tutti gli uomini – la libera coscienza che parla alla tirannide schiava di sé. L’eloquenza nata dall’intimo pathos contro la retorica manipolata a sostegno dell’arbitrio: una delle più sapienti antitesi del teatro greco. E insieme la più semplice nel suo immediato valore emotivo. Una giovinetta che non ha ancora vissuto si batte non per la vita, ma per l’idea. E vince, con la sua dialettica, il tiranno che l’uccide.»
Il tiranno si prende la vita di Antigone, ma non può nulla sulla sua volontà, scudo con il quale ella difende il suo diritto naturale a resistere all’oppressore, prerogativa che nessuno – né un sovrano, né un governo, né un Dio – può concedere, perché risiede nelle cellule stesse di ogni essere vivente; dimora nella carne, nel sangue e nello spirito, in tutto ciò che è e che non è, e che non può essere eradicato.
E allora, la resistenza come l’amore – che non riconosce le ragioni della mente – risponde ad un istinto atavico, antico come l’acqua, l’aria, il fuoco e la terra. Così come la vita non esisterebbe senza i quattro elementi, l’uomo cesserebbe di esistere senza l’amore e la resistenza. Rimarrebbe la macchina, tale e quale – o superiore – all’uomo per obbiettivi e capacità, ma incapace di disobbedire ad un comando e di amare, se non come replica di un meccanismo acquisito per imitazione.
E così la vita dell’uomo perde ogni significato quando egli sceglie di rinunciare alla resistenza. Ogni pensiero, azione, sentimento si ammanta di frustrazione e vergogna. Così come quando egli rinuncia ad amare, i suoi giorni trascorrono aridi e le ore imputridiscono in un nulla che si fa voragine, un vuoto che lo fa scivolare inesorabilmente nella follia.
La sorte dei gazawi, straziati dalla cieca e brutale violenza del governo, dei militari e dei civili israeliani, ci mostra – limpida come i raggi diretti del sole di mezzogiorno, che tutto illumina e a cui l’ombra non può sfuggire – la nostra stessa natura, ciò che possiamo essere o scegliere di non essere.
Il destino di chi muore, di chi sopravvive, di chi aspetta è anche il nostro destino.
Se fossi un Dio, se fossi Dio, mi augurerei – vi augurerei – sempre e a qualunque prezzo: L’AMORE E LA RESISTENZA.
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