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Israelistan

  • Immagine del redattore: Alice Rondelli
    Alice Rondelli
  • 5 lug
  • Tempo di lettura: 12 min
Se pensate che la guerra abbia a che fare solo con armi e sangue, vi sbagliate. Quello che si sta consumando in Medio Oriente è solo il primo passo di un progetto molto più ambizioso: una svolta politica senza precedenti nella storia, che impedirà alla resistenza di frenare lo strapotere Israeliano e statunitense nell’area una volta per tutte. E se credete che la distruzione materiale di un popolo e delle sue infrastrutture sia il peggio che possa capitare, beh, aspettate di vedere quanto la situazione diverrà irrimediabile quando lo sterminatore godrà della legittimazione politica strategica necessaria per finire il lavoro.
"La bramosia di Abramo" di Tutto e Niente, 2025.

In un cartellone recentemente apparso a Tel Aviv, che titola The Abraham Alliance – It’s time for a new Middle East, compaiono diverse figure di spicco tra i leader arabi e israeliani, e al centro Donald Trump. Tra di essi, salta all’occhio il libanese Joseph Aoun. Strano, penserete, cosa ci fa il presidente di un Paese pesantemente bombardato da Israele accanto al suo carnefice e ai suoi sostenitori ufficiali e non ufficiali?


La citazione principale del sito web www.abrahamshield.org ci informa che: «With crisis, comes opportunity» (le crisi aprono a nuove opportunità). Immediatamente vengo percorsa da un brivido pensando che per “crisi” ci si riferisce all’attuale situazione in Medio Oriente e alla strage in corso a Gaza da oltre 600 giorni; e mi domando quale persona sana di mente potrebbe mai, dinanzi a questo, esclamare: «Beh, suvvia! Guardiamo i lati positivi!».

Abramo è considerato un patriarca dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam. La sua storia è narrata nel Libro della Genesi ed è ripresa nel Corano.

Gli Abraham Accords (Accordi di Abramo) sono stati firmati il 15 settembre 2020 da Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco e Sudan) e hanno visto gli Stati Uniti del primo mandato di Trump nelle vesti di mediatore. Questi accordi sono stati spacciati come “trattato di normalizzazione” dei rapporti tra Israele e diversi Stati arabi, ma in realtà rappresentano il primissimo passo apertamente politico verso la realizzazione del piano egemonico statunitense decennale in Medio Oriente.

 

Così recita il sito web:

«Il The Abraham Shield Plan (lo scudo di Abramo) della Coalition for Regional Security (Coalizione per la Sicurezza Regionale) è una nuova iniziativa di sicurezza politica israeliana che apre la strada allo Stato di Israele per uscire dalle guerre di logoramento e raggiungere una realtà di sicurezza, stabilità e prosperità, sulla base dell’attuale opportunità regionale».

Sempre secondo il sito: «Gli attacchi del 7 ottobre facevano parte di un piano iraniano più ampio e avevano lo scopo, tra le altre cose, di sabotare il processo di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita e di impedire il processo di riconoscimento dello Stato di Israele da parte degli stati arabi moderati, impedendo così il rafforzamento della coalizione regionale moderata che minaccia l’Iran.»

 

«Dal 7 ottobre, lo Stato di Israele si trova a fronteggiare sette diversi fronti che formano il ring of fire (l’anello di fuoco) Iraniano che cerca di distruggerlo. Il complesso sistema dei “proxy” dell’Iran è stato costruito con grande sofisticazione nel corso di molti anni e con enormi risorse, con l’obiettivo di circondare lo Stato di Israele e strangolarlo.»

 

Per proxy si intende la rete di sostegno che l’Iran avrebbe creato con tutte quelle realtà di resistenza allo strapotere israeliano nell’area mediorientale: Hamas (Palestinese), Hezbolla (Libanese), gli Houthi (Yemeniti) e le varie milizie in Iraq e Siria.

Il sito definisce le zone in cui queste forze armate operano Hamastan e Hezbollahstan (in riferimento al Libano meridionale), sostenendo che l’Iran stia cercando di infiltrarsi anche in Giordania, Cisgiordania ed Egitto per continuare quelle che vengono definite “guerre di logoramento” contro Israele.

Ovviamente, si fa riferimento anche all’implementazione del programma nucleare Iraniano che, si ritiene, «porterà, alla fine, al collasso dello Stato di Israele».

 

Ancora, nel sito si sostiene che «nell’ultimo anno lo Stato di Israele ha combattuto la guerra più giusta dalla sua fondazione», «come una fenice che è riuscita a risorgere dalla polvere, dimostrando una potenza militare senza precedenti che ha portato cambiamenti monumentali in Medio Oriente».  Dunque, «la missione storica dello Stato di Israele è quella di tradurre i suoi straordinari successi militari in una svolta politica (…) che crei un nuovo ordine regionale in Medio Oriente».

 

Bisogna sottolineare che la presunta “potenza militare senza precedenti” israeliana non esisterebbe senza il sostegno militare incondizionato degli Stati Uniti e dei suoi alleati; ma la propaganda di Netanyahu consiste proprio nel far credere che Israele sia invincibile e che, in virtù di questo, sia meglio averlo come partner che come nemico, non importa a quale prezzo.

 

Il piano consiste in sei punti chiave, così riassunti:

 

1.     Chiusura del fronte a Gaza, restituzione di tutti gli ostaggi, istituzione di un governo di transizione tecnocratico a Gaza e una de-Hamasificazione guidata a livello regionale, che comprende un’intesa bilaterale con gli Stati Uniti sulla libertà d’azione per le operazioni di sicurezza e i raid mirati in futuro, al fine di prevenire la rinascita di Hamas e smantellare le infrastrutture terroristiche. Nonché l’istituzione di un governo di transizione tecnocratico a Gaza, con il sostegno dei suoi partner.

 

In sostanza, Israele prevede di avere una legittimazione totale al proseguo della sua “caccia al terrorista” che, come ormai sappiamo, significa una sola ed unica cosa: poter proseguire senza ingerenze lo sterminio dei palestinesi, che sono considerati tutti terroristi, persino i neonati. Saranno gli stati arabi moderati ad assicurare la riuscita il processo sopradescritto, il cui scopo ultimo è la de-radicalizzazione della società e dell’istruzione «come hanno già attuato con successo negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita». Inoltre, il contante nella Striscia di Gaza sarà abolito – secondo la pratica dello ZeroCash, che comporterà «un meccanismo avanzato di supervisione monetaria».

 

Il modello finanziario sopraccitato consentirà allo Stato di Israele di impedire qualsivoglia rete di supporto economico ai palestinesi. Sarà, in questo modo, impossibile far entrare nella Striscia il denaro necessario per consentire alla popolazione rimettersi in piedi.

 

2.     Attuazione e applicazione dell’accordo nel Libano meridionale attraverso una politica di zero violations (zero violazioni) e il rafforzamento dell’esercito libanese. Secondo questo accordo Israele si ritirerà gradualmente dal Libano meridionale e dichiarerà la fine dell’Operazione Northern Arrows, iniziata il 23 settembre 2024 con una serie di attacchi aerei israeliani in Libano che hanno ucciso e ferito migliaia di civili. Celebre, in questo conflitto, è stato l’utilizzo da parte di Israele di cercapersone e walkie-talkie dinamitardi.

 

La politica zero violations presuppone che Israele non tollererà né permetterà violazioni o provocazioni, le quali riceveranno una «risposta forte e immediata». Tra le altre cose Israele sosterrà lo sforzo internazionale e regionale guidato dagli Stati Uniti per rafforzare l’esercito libanese, stabilizzare il governo libanese e approfondire la separazione dello Stato del Libano dall’asse iraniano.

 

In sostanza, Israele mira a riempire le file del suo esercito con gli eserciti dele nazioni attigue, così da non dover più contare unicamente sull’alleato americano.

 

3.     Dopo la caduta del regime di Assad, lo scopo è sfruttare le forze regionali per stabilizzare la Siria e trasformarla in un “cuscinetto” contro l’asse iraniano. Sono previsti la smilitarizzazione delle alture del Golan siriano e l’insediamento di un nuovo governo che rispetti l’Accordo di separazione delle forze (The Agreement on Disengagement) del 1974.

 

Intanto, Israele si pone come obiettivo quello di continuare le attività operative per prevenire gli armamenti strategici in Siria e per frenare il contrabbando di armi verso Libano, Giordania e Cisgiordania, controllando attivamente i confini; tutto ciò, sempre avvalendosi dell’amministrazione statunitense e dei suoi partner regionali per impedire all’Iran di ristabilirsi in Siria e per sostenere un nuovo governo siriano responsabile e stabile che possa portare a una nuova era nelle relazioni tra i due Paesi in futuro.

 

Ovviamente si tratta del governo di Jolani, il nuovo Presidente siriano.

Jolani (sunnita che nel 2003 si è unito ad al-Qāʿida in Iraq e che nel maggio 2013 è stato inserito nella lista dei terroristi redatta dagli Stati Uniti) si è autoproclamato Presidente della Siria nel gennaio 2025 a seguito di un colpo che in soli 11 giorni ha fatto crollare il regime di Assad (rifugiatosi in Russia).

Jolani è nato nel 1982 da una famiglia abbiente in Golan (alture contese da decenni da Israele e Siria) e nel 2011 è divenuto comandante dello Stato Islamico in Iraq, quando al-Baghdadi gli dette l’incarico di espandere lo Stato Islamico in Siria.

Nel 2013 Baghdadi decise che il nuovo nome dello Stato Islamico (Iraq e Siria) sarebbe diventato ISIS e fu allora che Jolani dichiarò una scissione dalla quale nacque Jabhat al Nusra (riconosciuta come organizzazione terroristica sia dal Consiglio delle Nazioni Unite che dall’Unione Europea). Con la separazione, migliaia di combattenti scelsero di andare con Baghdadi, mentre altri restarono fedeli a Jolani. Le altre fazioni di combattenti siriani anti Assad assistettero a queste rivalità tra gruppi radicali che avevano preso il posto della lotta per rovesciare il dittatore Assad e avere più libertà di movimento.

La giustificazione di Jolani per la sua scissione fu che lo Stato Islamico nel 2004 aveva dichiarato fedeltà ad al-Qāʿida, quindi anche lui per proprietà transitiva rispondeva soltanto ad al-Qāʿida e non allo Stato Islamico. La verità era che Jolani voleva il potere per sé, infatti nel 2016 si separò anche da al-Qāʿida. Jabhat al Nusra cambiò nome e divenne Jabhat Fatah al Sham, il fronte per la conquista della Siria, e l’anno dopo cambiò ancora e divenne Hayat Tahrir al Sham, il movimento per la liberazione della Siria.

Da “conquista” a “liberazione”. Questi furono i primi segnali della decisione di Jolani di avviare un percorso di trasformazione pragmatica, per trasformare Hayat Tahrir al Sham da gruppo jihadista a forza presentabile, che si concentra sulla Siria e non vuole più fare il jihad all’estero.

 

Jolani accusa l’Iran e Hezbollah di essere un pozzo di corruzione e decreta la Siria base eletta per la produzione di Captagon, le pasticche di anfetamine che dilagano nel Medio Oriente con gli stessi deleteri effetti del fentanyl negli Stati Uniti.

Il culmine della campagna di marketing politico di Abu Mohammed al-Jolani è stato toccato quando egli ha dismesso il nome da battaglia e ha cominciato a farsi chiamare Ahmad al-Sharaa, che è il suo vero nome.

 

Sempre il terzo punto accenna alla centralità della Turchia nel plasmare il futuro ordine in Siria e riferisce che lo Stato di Israele stabilirà un canale di comunicazione con il presidente Erdoğan al fine di promuovere interessi comuni nella stabilità regionale.

 

4.     Con l’approfondimento della Moderate Regional Coalition (Coalizione Regionale Moderata), Israele intende stabilire un accordo di normalizzazione con l’Arabia Saudita che promuova la continua integrazione di Israele nel mondo arabo moderato e la creazione della Abraham Alliance, una coalizione regionale moderata che regolerà la sicurezza, l’intelligence e la cooperazione politica in Medio Oriente tra Israele, Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Marocco, Sudan e altri paesi moderati, con il sostegno degli Stati Uniti e dell’Occidente. Lo scopo è anche quello di garantire la stabilità di Egitto e Giordania ed indebolire così le organizzazioni terroristiche regionali, il loro finanziamento e i loro metodi di armamento.

 

Inoltre, Israele vuole istituire una zona di libero scambio in Medio Oriente per creare un «polo economico globale» che concernerà la firma svariati accordi per la cooperazione economica regionale nei settori della ricerca, della tecnologia, della scienza, dell’ambiente, del turismo, del commercio, dell’agricoltura e dell’acqua, realizzando al contempo megaprogetti infrastrutturali, ferrovie e strade transfrontaliere tra il Golfo e il Mar Mediterraneo, che apriranno nuovi importanti mercati allo Stato di Israele.

 

Questo punto rende chiarissimo che Netanyahu intende sfruttare a proprio vantaggio ogni singola risorsa dei suoi vicini di casa, partendo dal territorio palestinese, sul quale nel 1999 la British Gas, ha scoperto uno dei principali giacimenti di gas naturale non sfruttati nel Mediterraneo orientale. Durante lo scontro tra Israele e Iran ha visto l’intensificarsi non solo dei bombardamenti sui civili inermi assiepati in tendopoli di fortuna, ma anche le aggressioni ad opera dei coloni israeliani. Questo è un sintomo del fatto che il processo in atto difficilmente potrà essere invertito.

 

5.     Israele concentrerà la maggior parte delle sue risorse in un “Piano di Blocco” contro l’Iran e di prevenzione della sua nuclearizzazione, promuovendo azioni militari, politiche, economiche, regionali e internazionali per isolarlo dalla regione e accelerare il taglio di quelli che vengono definiti i «tentacoli della piovra».

 

Una parte importante e inquietante del quinto punto riguarda l’intento definito: «percorso di separazione graduale, responsabile e sicuro dai palestinesi entro un decennio, nell’ambito di un accordo regionale globale», dove per “separazione” si intende l’appropriazione totale dei territori palestinesi da parte dei coloni israeliani. Per la realizzazione di questo proposito è previsto un accordo a livello globale tra Israele e i suoi alleati in Occidente e Medioriente.

 

6.     «Sebbene attualmente non vi sia alcuna possibilità di istituire uno Stato palestinese, lo Stato di Israele si impegnerà a collaborare con i partner regionali e l’amministrazione statunitense per creare le condizioni per un percorso di separazione graduale dai palestinesi, a determinate condizioni, entro un decennio, nell’ambito di un accordo regionale globale».

 

Vengono elencate anche le condizioni di tale separazione, ovviamente dettate da Israele. Il processo sarà gestito nell’ambito di un accordo regionale globale e con il profondo coinvolgimento degli stati arabi moderati; la Cisgiordania e la Striscia di Gaza saranno completamente smilitarizzate, compresa la chiusura delle rotte del contrabbando; e sarà totale la libertà d’azione di Israele ad effettuare raid di sicurezza mirati per imporre la smilitarizzazione, prevenire minacce e gestire le infrastrutture terroristiche.

 

Si conclude con un’asserzione agghiacciante: «l’Autorità Nazionale Palestinese sarà obbligata ad intraprendere una riforma governativa completa (…) e verrà istituita una nuova leadership moderata, che riconosca lo Stato di Israele come patria nazionale del popolo ebraico e che sostenga il processo di separazione». Ovviamente, ça va sans dire, in questo nuovo progetto Hamas non dovrà avere alcuno spazio politico, ma anzi: si prevede che i futuri governanti dello Stato Palestinese – al quale non verrà mai permesso di esistere – si pieghino totalmente al volere di Israele per quanto concerne ogni singolo aspetto della riorganizzazione di una Nazione che non avrà alcun riconoscimento a livello internazionale. L’obbiettivo non è solo lo smantellamento delle istituzioni palestinesi, ma la sua completa dissoluzione. Questo scopo ha un termine: genocidio, e va ben oltre la pulizia etnica. Sì, perché mentre la pulizia etnica può includere l’omicidio solo al fine di allontanare il gruppo specifico dal territorio, il genocidio include l’intento della distruzione completa o parziale di un determinato gruppo.

 

L’ultima proclamazione del punto 6 non è meno terrificante di quella precedente: «L’educazione all’odio contro Israele nelle scuole e l’incitamento contro Israele nelle istituzioni governative e nelle moschee saranno interrotti e sostituiti da programmi educativi per la tolleranza e la coesistenza».

In questi programmi educativi propagandistici verrà insegnato ai pochi bambini palestinesi rimasti in vita (semmai ce ne saranno) ad amare il proprio carnefice, a comprendere il suo diritto ad espropriare con la forza le terre, a distruggere le abitazioni e a macellare i civili in virtù di un presunto diritto alla Terra Promessa che arriva direttamente da Dio, un Dio che riconosce in una società di psicopatici assassini il proprio Popolo Eletto.

Sono pronta a scommettere che un programma educativo per scongiurare la deriva antisemita in Occidente verrà presto propinato anche ai bambini americani ed europei.

 

Il sito web non si esimia dal fornire le motivazioni della creazione del The Abraham Shield Plan.

 

In primo luogo c’è, ovviamente, il dato incontrovertibile che «la separazione politica, geografica e demografica dai palestinesi è in ogni caso un chiaro interesse israeliano» data da quella che è considerata come l’impossibilità di costituire uno «stato binazionale» che, a dire degli israeliani, è una «minaccia continua all’esistenza dello Stato di Israele come stato democratico con una solida maggioranza ebraica».

Vale la pena ricordare che la legge israeliana sullo Stato-nazione garantisce il diritto all’autodeterminazione esclusivamente agli ebrei in Palestina, ma non ai palestinesi.

 

In secondo luogo, si spiega come non sia in alcun modo possibile realizzare a pieno la sicurezza dello Stato di Israele senza la sconfitta della minaccia Iraniana. Si fa persino riferimento alla «preservazione del carattere (character – che, in questo caso si può tradurre con il termine quality – ovvero “qualità”, esattamente come nel caso della razza ariana ai tempi del Nazismo).

 

In terzo luogo, Israele si pone come guida di quello che è stato definito: «A new regional order in Middle East», specificando che mai ha affidato agli stati arabi moderati di trovare una soluzione regionale globale. Quest’ultima affermazione è ambigua, perché non specifica che d’ora in poi la direzione dei sei punti sopraccitati sarà congiunta tra tutti i partner, ma lascia piuttosto supporre che il ruolo, appunto, di guida spetterà solo ad Israele.

 

In sostanza, il futuro che attende i Palestinesi che riusciranno a scampare alla pulizia etnica operata da oltre 600 giorni comprende l’assoggettamento totale al suo carnefice dal punto di vista politico, economico e culturale. Con il beneplacito degli Stati Medio Orientali, degli Stati Uniti e dei Paesi membri dell’Unione Europea, che altro non faranno che approfittare dei benefici economici che scaturiscono naturalmente dalla collaborazione con Israele e il suo fido alleato americano). Non bisogna dimenticare, inoltre, che Netanyahu non abbandonerà mai gli estremisti del suo governo per due ragioni: la prima è che condivide ideologicamente la loro posizione – sono, infatti, i soldati semplici a mettere in pratica la sua ideologia; la seconda è che Bibi ha bisogno di loro per rimanere al potere e fuori di prigione.

 

In tal proposito, il 14 agosto 2021, l’Associated Press ha riferito di un accordo segreto sul petrolio tra Israele ed Emirati Arabi – stipulato nel 2020 nell’ambito degli Accordi di Abramo – che aveva trasformato la località turistica israeliana di Eilat in un punto di passaggio per il petrolio emiratino diretto ai mercati occidentali, che avrebbe messo in pericolo le barriere coralline del Mar Rosso, con un disastroso impatto ecologico sull’ecosistema del luogo.

 

È lapalissiano che tutte le parti in causa stanno già ottenendo e otterranno dei consistenti vantaggi economici dal questa alleanza, a dir poco innaturale, tra i Paesi arabi e Israele. Appare ovvio che saranno svariati i popoli che pagheranno un prezzo altissimo perché questi interessi giungano a pieno compimento.

La pace tra l’Arabia Saudita e Israele – custode delle due città più sante dell’Islam: la Mecca e Medina – aprirebbe la strada alla distensione dei rapporti tra Israele e l’intero mondo musulmano, compresi Stati giganteschi come l’Indonesia e forse persino il Pakistan.

 

Il 21 aprile 2025, in concomitanza con l’inizio del suo 88esimo anno di vita, il fondatore del World Economic Forum Klaus Schwab ha annunciato le sue dimissioni dalla presidenza della Fondazione. Il suo sogno, d’altronde, si sta per realizzare altrove e per uno che viene da una famiglia di servi degli interessi nazisti (come ho scritto nel pezzo intitolato I valori della famiglia Schwab) non c’è spazio tra le file dei sostenitori di un Nuovo Ordine Medio Orientale. O forse sì…


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