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Immagine del redattoreAlice Rondelli

Il Vangelo secondo RoboCop

ROBORDER, Habsora e RIO hanno in comune due cose: l'utilizzo dell'intelligenza artificiale e il controllo potenzialmente illimitato sulle persone, in taluni casi persino sulla vita e la morte.

Ph. Soul of a Nation, temporary exhibition at Tate Modern, 2017 (Alice Rondelli)

A gennaio 2014 l’Unione Europea ha istituito il programma Horizon 2020, della durata di sette anni (2014-2020), nel quale sono integrati tutti i finanziamenti per la ricerca e l’innovazione.

Uno dei più importanti progetti di Horizon – durato dal primo maggio 2017 al 31 agosto 2021 – è ROBORDER, che concerne uno «sciame autonomo di robot eterogenei per la sorveglianza delle frontiere» ed è stato finanziato da Secure societies - Protecting freedom and security of Europe and its citizens, uno degli obiettivi dell’Unione Europea, che ha contribuito con 7 999 315,82 euro su un totale di 8 922 410,03 euro (chi abbia pagato i restanti 923 094,21 euro non sono riuscita a scoprirlo).

In un'ottica in cui, come spiega il sito web: «La complessità delle minacce affrontate dalle autorità di frontiera e dalle forze dell’ordine in tutta Europa è un elemento che ne ostacola l’efficienza nel pattugliare e salvaguardare i confini (…)», il proposito di ROBORDER è quello di «sviluppare e dimostrare un sistema di sorveglianza delle frontiere autonomo e completamente funzionale. Il sistema si avvarrà di robot mobili senza equipaggio, tra cui veicoli aerei, acquatici, subacquei e terrestri, che opereranno sia in modo separato che in sciami, integrando sensori aggiuntivi nell’ambito di una rete interoperabile. Inoltre (…) ricorrerà all’impiego di tecnologie robotiche e di rilevamento adattabili, in grado di funzionare in diversi contesti. Il progetto si concentrerà sullo sviluppo delle capacità per il rilevamento di attività illegali e di incidenti pericolosi.»

La spiegazione si conclude così: «Queste informazioni verranno inoltrate all’unità di comando e controllo che consentirà l’integrazione di grandi volumi di dati eterogenei provenienti da sensori e la fornitura di una rapida panoramica della situazione a colpo d’occhio agli operatori, supportandoli nelle loro decisioni.»

Le tecnologie di sorveglianza delle frontiere sviluppate e la piattaforma ROBORDER sono state testate in tre principali casi d’uso pilota, costituiti da diversi scenari che coprono molteplici tipi di possibili violazioni. La prima dimostrazione ha riguardato il rilevamento dell’attraversamento non autorizzato della frontiera marittima dell’isola greca di Kos, molto vicina alla costa turca; la seconda ha rilevato l’attraversamento non autorizzato della frontiera terrestre; e la terza ha individuato gli incidenti dovuti all’inquinamento.

 

Nonostante gli intenti onorevoli, questo progetto puzza di strumentalizzazione istituzionale. È sempre la solita storia: la chiamano “sicurezza”, ma si scrive “controllo”.

È innegabile che l’Unione Europea abbia un grosso problema con l’immigrazione, un tarlo che affigge tanto i capi di Stato, quanto la Commissione Europea.

I punti chiave della Dichiarazione di cooperazione (meglio conosciuta come “accordo sui migranti”) tra l’Unione Europea e il governo turco, firmata il 18 marzo 2016, prevedono che: tutti i migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche al decorrere dal 20 marzo 2016 siano rimpatriati in Turchia; per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche un altro siriano sarà reinsediato dalla Turchia all’UE; la Turchia adotterà qualsiasi misura necessaria per evitare nuove rotte marittime o terrestri di migrazione irregolare dalla Turchia all’UE e collaborerà con i Paesi vicini, nonché con l’UE stessa, a tale scopo. In cambio, il primo ministro turco Erdoğan (in carica dal 2014), dal 2016 al 2022 avrebbe ricevuto finanziamenti europei per 6 miliardi di euro in diverse tranche, al fine di migliorare la situazione umanitaria dei rifugiati nel Paese. Come spiega l’International Rescue Committee, l’accordo «nasce in risposta al forte aumento del numero di persone arrivate sulle coste europee in cerca di sicurezza e protezione nel 2015. In quell’anno, arrivarono ​​nell’Unione europea quasi 1 milione di rifugiati, mentre più di 3.500 persero la vita compiendo un viaggio insidioso. Oltre il 75% di coloro che arrivarono in Europa erano fuggiti da conflitti e persecuzioni in Siria, Afghanistan e Iraq.

I siriani in Turchia, attualmente quasi 3 milioni e mezzo, sono sottoposti al regime di protezione temporanea che prevede il libero accesso alle cure sanitarie, all’istruzione, al mercato del lavoro e un minimo stipendio mensile secondo il sistema cash assistance, in seguito implementato e supportato dall’Emergency Social Safety Net (ESSN), promosso dall’UE in partnership con la Croce Rossa Turca. Vale la pena ricordare che tutte queste persone vivono nelle sconfinate distese di tendopoli che costellano i vari campi profughi in territorio turco.

Il 15 giugno 2023 si è tenuta a Bruxelles la settima Conferenza europea sulla Siria, che ha definito uno stanziamento di ulteriori aiuti destinati alla popolazione siriana pari a 5,6 miliardi di euro per il 2023 e il 2024.

 

A ottobre 2023 i Paesi dell’Unione hanno raggiunto un accordo sul regolamento sulla gestione delle crisi migratorie, chiamato Pact on Migration, quando Italia e Germania sono riuscite ad accordarsi con questo inciso: «Le operazioni umanitarie non devono essere considerate come strumentalizzazione delle migrazioni quando non sussiste il tentativo di destabilizzare uno Stato membro». Dunque, resta da capire chi deciderà, caso per caso, se sussiste o meno quell’effettivo pericolo: lo Stato in questione, o la Commissione? Non è dato saperlo. Quello che è certo, è che il vero rischio è l’inasprimento delle difficoltà che le ONG devono affrontare quotidianamente nel tentativo di soccorrere i migranti, soprattutto adesso che la tecnologia è in grado di venire in aiuto di chi vuole impedire in qualunque modo le sempre più frequenti ondate migratorie. Con la crescente sofisticazione di sistemi come ROBORDER – che potrebbero essere messi a frutto, ad esempio, per individuare le navi cariche di migranti in difficoltà – è impossibile prevedere le catastrofiche conseguenze del soffocamento degli espatri.

Proprio in questi giorni, in molti si domandano che cosa ne sarà dei quasi due milioni di palestinesi spinti a forza fuori dalla loro terra dall’esercito israeliano. Viene da pensare che il passo successivo ad “individuare per prevenire”, auspicato da chi ha finanziato ROBORDER, sarà “mira e spara”. D’altronde, dalla conclusione del programma nel 2021, l’intelligenza artificiale si è fatta sempre più spazio nella realtà; lo sanno bene in Palestina. Come spiega Middle East Eye: «i media israeliani +972 Magazine e Local Call hanno condotto interviste con diversi ex e attuali funzionari dell’intelligence israeliana, rivelando che l’esercito aveva aspettative inferiori rispetto a prima sulla limitazione degli obiettivi civili. L’allentamento delle regole è stato combinato con l’uso di Habsora (che in ebraico significa “Il Vangelo”), un sistema di intelligenza artificiale in grado di generare obiettivi a ritmi più rapidi rispetto a prima, facilitando quella che un ex ufficiale dell’intelligence ha definito una «fabbrica di omicidi di massa». I funzionari hanno ammesso ai media che le case dei membri di basso rango di Hamas e di altre fazioni armate palestinesi erano state prese di mira intenzionalmente, anche se ciò significava uccidere tutti i presenti nell’edificio.

In un caso, l’intelligence dell’esercito israeliano ha approvato l’uccisione di centinaia di palestinesi per assassinare un singolo membro di Hamas.

Ovviamente, non è dato sapere come l’algoritmo di Habsora arrivi a trarre le sue conclusioni; quello che è certo è che in 60 giorni l’esercito israeliano ritiene di aver ucciso tra i 1.000 e i 2.000 membri di Hamas a Gaza dal 7 ottobre, e in quello stesso periodo sono stati uccisi più di 15.000 palestinesi, tra cui almeno 6.150 bambini.  

 

È importante comprendere come viene impiegata l’intelligenza artificiale nella ricerca del nemico. Nel mio pezzo “L’algoritmo dell’insicurezza” ho accennato al funzionamento del recurrent neural network (RNN), uno dei due grandi tipi di rete neurale artificiale caratterizzata dalla direzione del flusso di informazioni tra i suoi strati, utilizzato dal software di produzione americana RIO, un software che sfrutta le tecniche di intelligenza artificiale per automatizzare il rilevamento e la valutazione delle hostile influence operations (IOs) nella rete. Inoltre, nella traduzione di un articolo investigativo di Whitney Webb pubblicato nel luglio 2021, che ho intitolato “I servi di Sauron”, viene spiegato come la tecnologia spyware israeliana sia utilizzata in molti Paesi fin dagli anni ’80 per prendere di mira giornalisti e attivisti.

ROBORDER, Habsora e RIO hanno in comune due cose: l’impiego dell’intelligenza artificiale e il controllo potenzialmente illimitato sulle persone, che nel caso palestinese si trasforma nel potere di deciderne persino la vita e la morte.

A questo aspetto, evidentemente, molti non pensano quando si dilettano con ChatGPT, o trasformano i propri ritratti fotografici in avatar iperrealistici. Il genocidio dei palestinesi ad opera di Israele è un’ottima ragione per cominciare a riflettere sull’impatto che questa nuova tecnologia ha sul futuro dell’umanità.

 

È importante specificare che per quanto riguarda i programmi dell’UE come Secure societies, i finanziamenti derivano sempre da partenariati cosiddetti: Public Private Partnership (PPP), che implicano la collaborazione tra un ente governativo e un’azienda del settore privato che può essere utilizzata per finanziare, costruire e gestire progetti. Questi partenariati pubblico-privato spesso comportano concessioni di tasse o altre entrate operative, protezione dalla responsabilità, diritti di proprietà parziale su servizi e proprietà nominalmente pubbliche a soggetti del settore privato, a scopo di lucro.

Il progenitore delle PPP è il Private Finance Initiative (PFI) del Regno Unito, risalente agli anni ΄90, e necessitava lo sviluppo di un’attenta regolamentazione che richiedesse l’assunzione pubblica dei rischi e delle responsabilità, soprattutto per tutelare settori sensibili come ad esempio: sanità, istruzione, difesa nazionale e infrastrutture stradali. Il governo di John Major, dal 1990 al 1997 ha perseguito l’obiettivo di coinvolgere fonti private di investimento e strumenti di gestione privati, al fine di realizzato l’ammodernamento dei grandi progetti infrastrutturali pubblici, con il pretesto di evitare il ricorso a soluzioni di privatizzazione.

Proprio nel 2014 (l’anno in cui venne promosso Horizon 2020) l’Unione Europea pubblicò nella Gazzetta Ufficiale il nuovo pacchetto legislativo per l’attribuzione di appalti pubblici e concessioni, che attualmente conta tre direttive distinte: la prima è relativa all’aggiudicazione dei contratti; la seconda concerne il coordinamento delle procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, pubbliche forniture e contratti di servizio pubblico; e la terza riguarda gli appalti degli enti che operano in mare, settori dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali. Secondo l’Unione Europea le Public Private Partnership hanno un grosso vantaggio: quello di creare una concorrenza tra le aziende che conduca a prezzi convenienti, dei cui vantaggi beneficerebbe in primis il settore pubblico. Tuttavia, i giovamenti per il settore privato sono notevoli; tra i maggiori ci sono i benefici di tipo fiscale e il parziale sgravo di responsabilità, che viene assunto dal garante: l’UE.

Tra i rischi principali si annoverano: il ritardo nei tempi di consegna, il rischio di disponibilità (ovvero la capacità da parte del concessionario di erogare le prestazioni contrattuali pattuite) e il rischio di domanda (legato alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa).

Mettiamo caso che un’azienda privata concluda un contratto con l’UE per la produzione di un prodotto, e che in corso d’opera i costi di produzione superino quelli concordati: in questo caso saranno gli stati dell’Unione Europea ad accollarsi gli extra costi necessari a portare a termine il progetto. Nulla di male, direte voi, ma provate a immaginare che l’azienda privata produttrice di quel servizio sia anche, indirettamente (quindi attraverso un’altra azienda con gli stessi investitori) collegata a chi fornisce i materiali con un extra costo imprevisto; allora, gli stessi investitori beneficerebbero di un doppio guadagno: quello derivante dal contratto con l’UE in qualità di partner e quello derivante dai costi extra del materiale. La storia è piena di questi casi, basti pensare alla moltitudine di join venture che, in un modo o nell’altro, fanno capo a BlackRock praticamente in ogni settore economico. Tuttavia, questo argomento è così vaso che merita una disamina a parte.

A normare i rapporti delle PPP è la complessa e articolata Concessions Directive dell’Unione Europea, varata il 26 febbraio 2014, la cui maggiore innovazione rispetto al passato è la regolamentazione del contratto di partenariato pubblico-privato, che disciplina i rischi e gli incidenti sui corrispettivi derivanti da fatti non imputabili all’operatore economico, anche al fine collaterale di prevenire e deflazionare l’eventuale contenzioso legato alle fasi esecutive.

Vi domanderete perché i concessionari dovrebbero desiderare di trarre due volte profitto da un contratto con l’UE. La risposta è semplice: perché il contratto tra le parti prevede un limite al guadagno del partner privato; dunque, per quanto possa apparire vantaggioso – e lo è, eccome! – vendere prodotti e servizi all’Unione Europea (basti pensare a ciò che riguarda le infrastrutture e tutto ci che ruota attorno al sistema sanitario), ancora più vantaggioso risulta il fatto che gli extra costi – praticamente inevitabili – vengano coperti proprio dagli Stati membri.

La Concessions Directive nasce con il preciso scopo di far fronte alla necessità di innovazione e ricerca, come ho spiegato al principio parlando di Horizon 2020. L’Unione Europea ha deciso di affrontare il problema delle crescenti migrazioni attraverso, appunto, l’innovazione tecnologica, che concerne la cyber security e il border control. Quindi, in questo caso, le PPP riguardano non solo servizi, ma anche prodotti e questo ci porta dritti dritti alle questioni riguardanti la produzione di chip e l’allocazione delle risorse minerarie per produrli. Anche il tema che concerne la reperibilità del silicio merita una disamina a parte; ciononostante bisogna ricordare che chi produce è anche colui che si accaparra questo genere di risorse e, dunque, anche in questo caso può guadagnarci due volte: dalla produzione del prodotto e dalla vendita a prezzi esorbitanti del materiale alle aziende concorrenti.

 

Una delle prime cose che si imparano al corso di economia è che è la legge di Say afferma che l’offerta di un bene ne crea la domanda. Questo spinge erroneamente a pensare che sia il consumatore a dettare le leggi di mercato; in verità, ciò che avviene è l’esatto opposto: il produttore di un bene o servizio fa sì che sia la necessità di ciò che produce a incrementare la domanda.

Una crisi migratoria, ad esempio, accresce la richiesta di sistemi che possano garantire una maggiore sicurezza dei confini degli Stati verso i quali si riversa il flusso migratorio. Se c’è una cosa che la storia moderna ci ha insegnato è che la politica altro non è che la longa manus dell’economia. A tal proposito, un paio di domande sorgono spontanee: che ne sarà dei quasi due milioni di palestinesi che l’esercito israeliano sta spingendo al confine con l’Egitto? Quanto guadagnerà da questo enorme numero di sfollati il più grande produttore al mondo di sistemi di sicurezza informatica, ovvero Israele?

Il deux ex machina, questa volta, è davvero l’elefante nella stanza e si nasconde dietro una grande insegna illuminata da flash e raggi catodici che recita: «E allora Hamas?».


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