La cosiddetta Singolarità Tecnologica, che prevede l’avvento delle Artificial Intelligence, si tradurrà in una nuova età dell’oro nella quale la fusione di umani e macchine finirà per debellare la morte. Ma è proprio vero?
Ph. Museo Cyberpunk, Cluj-Napoca, 2023 (Alice Rondelli)
Nel suo saggio “Vita Activa”, pubblicato nel 1958, Hannah Arendt scrisse: «La scienza – sorellastra ripudiata della religione – ha per oggetto le stesse insoddisfazioni animali».
Nel 1949 il gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin coniò il termine “transumanesimo”, ma fu solamente nel 1957 che il genetista britannico Julian Huxley ne delineò il significato, spiegando che l’uomo, seppure rimanendo umano, avrebbe trasceso sé stesso attraverso nuove potenzialità e guidato il processo evolutivo della nostra specie.
Agli albori di questo movimento culturale, che sostiene l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive degli esseri umani, l’eugenetica fu la longa manus attraverso la quale realizzare il proposito di perfezionare la razza umana.
A partire dal 1760, anno della prima Rivoluzione Industriale, il rapido sviluppo delle nuove tecnologie ha incatenato indissolubilmente il concetto di performance alle macchine.
Il manifesto transumanista “Lettera a Madre Natura” spiega con chiarezza gli intenti del movimento: «Accresceremo i poteri percettivi e cognitivi della specie umana grazie al potenziamento tecnologico degli organi di senso e delle capacità neuronali. Non ci rassegneremo più a un’evoluzione cieca, bensì perseguiremo una totale libertà di scelta per quel che riguarda la forma e la funzione del corpo, affinando e incrementando le capacità fisiche e intellettive a livelli mai raggiunti nel corso della storia».
Scrive Eric Schmidt, amministratore delegato di Google dal 2001 al 2011: «Ad un certo punto ci impianteremo dispositivi che ci forniranno le risposte necessarie a qualsiasi cosa pensiamo».
Fu il fondatore e finanziatore di Google, Raymond Kurzweil, a fare un passo ulteriore nel fornirci una chiara visione sugli obiettivi che gli sviluppatori di nuove tecnologie stanno inseguendo. Kurzweil, infatti, ha reso popolare l’idea che la cosiddetta Singolarità Tecnologica, che prevede l’avvento delle Artificial Intelligence, si tradurrà in una nuova età dell’oro nella quale la fusione di umani e macchine finirà per debellare la morte.
Tutti questi concetti, all’apparenza affascinanti e rivoluzionari, nascondo non poche insidie.
Prendiamo, ad esempio, il chip prodotto dalla startup Neuralink di Elon Musk. Lo scopo del dispositivo è quello di mettere in comunicazione le funzioni cerebrali degli esseri umani con l’intelligenza artificiale, e necessita di essere impiantato con una procedura chirurgica (seppure la versione wireless sia già stata testata con successo sui maiali). Il device promette di rilevare, amplificare e rielaborare i segnali elettrici derivanti dall’attività cerebrale, per monitorarla e potenzialmente anche stimolarla. I test effettuati hanno rivelato che i ratti ai quali era stato impiantato il chip nel cranio reagivano agli impulsi elettrici, modificando il loro modo di agire a seconda degli stimoli ricevuti.
Proviamo ad immaginare che attraverso degli algoritmi questo chip sia in grado di suggerirci la scelta più consona da fare in quanto consumatore, o professionista. Verrebbe da dire che se ci venisse consigliato come comportarci affinché non inquinassimo, oppure non creassimo danno ad altri esseri umani, o non prendessimo decisioni lavorative infruttuose, allora la tecnologia avrebbe effettivamente migliorato la nostra vita e quella degli altri. Tuttavia, non bisogna dimenticare che dietro ogni efficientissimo algoritmo non c’è la mano di Dio, ma quella di un tecnico che lavora per il CEO di un’azienda – in questo caso Neuralink – il quale ha come unico scopo quello di massimizzare il profitto.
La qualità della nostra vita sarebbe migliore se per terminare una mansione lavorativa, rinunciassimo a passare del tempo con le persone che amiamo, o a leggere un buon libro solo per il gusto di farlo?
Saremmo più felici se rinunciassimo a un paio di bicchieri di vino con gli amici perché l’algoritmo – che ha sottomano tutti i nostri dati biomedici – è in grado di ricordarci che la quantità di zucchero nel nostro sangue, in quel momento, è troppo alta?
Bisogna domandarsi cosa potrebbe accadere a chi si rifiuterà, o non potrà permettersi di farsi impiantare un chip che gli suggerisca di adottare un’opzione più consona ad una specifica situazione, rispetto ad un’altra. È verosimile che a un colloquio di lavoro non ci sarà più spazio per chi potrà, o vorrà continuare ad affidarsi unicamente al proprio giudizio, anziché a quello di un AI.
Dal punto di vista etico, inoltre, è necessario riflettere su due quesiti fondamentali: cos’è migliore? Ed è migliore per chi?
Il filosofo svedese, ex transumanista, Nick Bostrom (salito alla ribalta mondiale come il principale profeta del disastro tecnologico) sostiene che persino la forma più benigna di AI rischia di condurre alla distruzione dell’umanità. Secondo Bostrom, infatti, la nostra eliminazione ad opera di una macchina super intelligente non deriverà da malevolenza, bensì dal fatto che la nostra scomparsa sarà una condizione ottimale per il raggiungimento non si sa bene di quali obiettivi.
In uno scenario caricaturale si potrebbe immaginare che un’intelligenza artificiale, programmata per risolvere il problema dell’inquinamento, arrivi a stabilire che l’eliminazione della razza umana sia la soluzione migliore per tutelare l’ambiente e che, quindi, compia le azioni necessarie a portare a termine l’incarico assegnatogli. Insomma: accertato che alcuni di noi stiano distruggendo la Terra con le loro condotte dissennate, allora certamente l’AI avrebbe ragione a volerli fare fuori. Ma la ragione delle macchine non è che la ragione dell’uomo che le ha create e che, soprattutto, ha deciso a quali scopi destinarle.
Secondo Mark O’Connell, autore del libro “Essere una macchina” «il transumanesimo non è che un’intensificazione di una tendenza già insita nella cultura dominante, ossia il capitalismo».
Affidare al capitalismo le sorti dell’uomo – in quanto razza umana, ma anche come singolo individuo – non è una mera ingenuità, ma una vera e propria follia.