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Immagine del redattoreAlice Rondelli

Il rumore metallico della chiave


L'imperialismo britannico ha impedito alla Nigeria di fare un'esperienza istituzionale indigena, al fine di perpetrare la propria dominazione economica. È possibile per un popolo liberarsi degli strascichi della colonizzazione?

Ph. Margravine cemetery, London, 2022 (Alice Rondelli)

Gli antichi egizi credevano che ogni individuo avrebbe avuto un’altra vita dopo la morte. Questa “sopravvivenza” interessava tutte le parti che componevano l’essere umano – non solo il corpo – che per questo venivano considerati anime: come il ba, il ka e l’akh. Gli egizi credevano che tali elementi potessero assumere forme diverse per tornare sulla Terra sotto forma di rappresentazioni del defunto, come per esempio pitture o sculture. Qualcosa di simile accadeva con un’ulteriore componente spirituale della persona: il nome (ren). Gli egizi scrivevano il proprio nome su diversi tipi di monumenti perché ritenevano che in questo modo avrebbero ottenuto la vita eterna. Se il nome di una persona fosse stato cancellato, il suo ricordo sarebbe sicuramente svanito e l’individuo sarebbe morto per sempre. Non esisteva, dunque, castigo più spietato della negazione dell’eternità. La punizione di cancellare il nome di una persona fu una pratica molto utilizzata e diffusa in Egitto. È nota con un’espressione latina: damnatio memoriae, o condanna della memoria. Per eliminare il nome di un faraone inciso su un monumento ci voleva un’operazione particolare. Prima il cartiglio reale (il nome del sovrano delimitato da un ovale) veniva preso a colpi di martello; in seguito si apponeva uno strato di gesso su cui si sarebbe scolpito il nuovo nome reale. Tuttavia, questo metodo aveva uno svantaggio: con il passare del tempo il gesso poteva staccarsi ed esporre l’iscrizione precedente, se non era stata del tutto cancellata.


Il processo di costruzione dello stato della Nigeria è cominciato a inizio ‘800, sotto la vigorosa spinta del riformismo islamico. Lo jihadista Uthman dan Fodio (1754-1817) unificò le terre islamizzate e quelle pagane in una sorta di teocrazia, e proclamò un Califfato con centro a Sokoto. Il Sahel è una fascia di territorio dell’Africa subsahariana che copre da ovest a est diversi stati: il Gambia, il Senegal, la parte sud della Mauritania, il centro del Mali, il Burkina Faso, la parte sud dell’Algeria e del Niger, la parte nord della Nigeria e del Camerun, la parte centrale del Ciad, il sud del Sudan, il nord del Sud Sudan e l’Eritrea. Essa costituisce una zona di transizione molto fertile tra l’ecozona paleartica e quella afrotropicale, e aveva stabilito relazioni di lunga data con gli stati arabi del Mediterraneo in materia di commercio e di migrazioni. L’espansione del colonialismo britannico – dopo la proibizione legale della tratta degli schiavi nel 1807 – ha interferito significativamente con il processo di costruzione dello stato della Nigeria. A rappresentare un’alternativa succulenta per i colonialisti era l’attività missionaria cristiana e la relativa diffusione dei valori occidentali; nonché la sostituzione della tratta degli schiavi con il commercio «legittimo» attraverso società Chartered (ovvero, compagnie commerciali privilegiate di mercanti europei, nate a partire dal XVI secolo, per sviluppare il commercio con le nuove terre scoperte in Asia, Africa e America) come la Royal Niger, un’azienda concentrata sulla costa atlantica. Di conseguenza, gli obiettivi coloniali avevano sostituito il design africano, e l’unificazione dei Protettorati (decisa durante la Conferenza di Berlino del 1884-85) aveva lo scopo di dare una forma definitiva al possesso britannico. L’Inghilterra stabilì un rapporto speciale con le gerarchie Hausa-Fulani (gruppo etnico di origini miste) nel nord – dove abbondavano risorse materiali promettenti – mentre nel sud fiorivano le élite nazionaliste, nelle quali risiedevano la maturità politica e il futuro di potere.

Il 1º gennaio 1901 la Nigeria divenne un protettorato del Regno Unito e nel 1914 l’area venne definitivamente annessa come “Colonia e protettorato della Nigeria”. Dal punto di vista amministrativo, la Nigeria rimaneva divisa nelle province del nord e del sud, e nella colonia di Lagos. Ovviamente, un’educazione di tipo occidentale e lo sviluppo di una struttura economica moderna procedettero più rapidamente al sud rispetto al nord. In risposta al crescente nazionalismo nigeriano e alle conseguenti richieste di indipendenza, che seguirono la fine della seconda guerra mondiale, i britannici guidarono la colonia verso l’autogoverno su base rappresentativa e federale tramite l’approvazione di una serie di costituzioni.

Alla Nigeria fu riconosciuta la piena indipendenza il 1º ottobre del 1960, come federazione di tre regioni (settentrionale, occidentale ed orientale) guidata da una costituzione che prevedeva una forma di governo di tipo parlamentare, che garantiva a ognuna delle tre una misura sostanziale di autogoverno. Al governo federale, invece, vennero dati poteri esclusivi per quanto riguardava la difesa e la sicurezza, i rapporti internazionali e le politiche commerciali e fiscali. Nell’ottobre 1963 la Nigeria modificò le proprie relazioni con il Regno Unito proclamandosi, per la prima volta nella sua storia, Repubblica Federale. Il 15 gennaio 1966 un piccolo gruppo di ufficiali dell’esercito rovesciò il governo e assassinò il primo ministro del governo federale e i governatori delle regioni settentrionale ed occidentale. Il governo militare federale, che assunse il potere sotto la guida del generale Aguyi Ironsi, mancò della capacità di smorzare le tensioni etniche e di produrre una costituzione che fosse accettabile per le varie anime del paese. Il conseguente massacro di migliaia di cittadini di etnia igbo nel nord del paese spinse centinaia di migliaia di loro a tornare nel sud-est, dove presero sempre più forza sentimenti e progetti secessionistici da parte dell’etnia igbo.

La storia della Nigeria indipendente è iniziata con una crisi di fiducia che ha innescato un colpo di stato militare, che sarebbe stato solo il primo di una lunga serie. Il ritorno ad un governo civile è stato definitivamente effettuato solo nel 1999, grazie alla guida energica di Olusegun Obansanjo, un ex generale. Negli ultimi quindici anni, l’ordine politico e la convivenza civile in Nigeria sono stati sconvolti dalla campagna terroristica di Boko Haram, un movimento estremista concentrato principalmente nelle aree povere e trascurate del nord e ispirato a una dottrina islamista. Le attività terroristiche di Boko Haram sono da anni considerate la principale minaccia per la Nigeria, ma la violenza politica nella storia del Paese ha avuto un ruolo parimenti distruttore e creatore.

Vi furono tre importanti eventi bellici: la jihad che ha portato alla fondazione del Califfato di Sokoto nel 1804, la secessione del Sud-Est come Repubblica del Biafra nel 1967e la rivolta di Boko Haram iniziata nel 2009. La dicotomica politicizzazione della religione è stata allo stesso tempo fonte di identità e permanente ostacolo alla sostenibilità di istituzioni democratiche. L’eredità islamica – molto forte al Nord –è entrata in opposizione con l’affermazione di un modello impregnato dei valori occidentali importati dal colonialismo.


Il programma del movimento Boko Haram – locuzione che fa riferimento alla ripulsa della cultura occidentale – è ufficialmente la “guerra santa”, come risulta dalla denominazione ufficiale, che è «gente impegnata per la propagazione degli insegnamenti del Profeta e il jihad». Secondo lo storico Gian Paolo Calchi Novati: «I travagli che hanno penalizzato la Nigeria (…) discendono in larga misura dalla sua stessa formazione come Stato moderno e indipendente. Destreggiandosi fra i diversi nuclei, intrecciati o alternativi, in cui si è espressa la statualità in questo spazio fisico, umano e giuridico, l’accesso all’indipendenza post-coloniale si è adattato, per scelta o per deriva, a una sostanziale continuità con il periodo della dominazione coloniale a scapito di un eventuale recupero dei lasciti provenienti dalle esperienze istituzionali più propriamente “indigene” a cui, al di là delle convenienze nel rapporto con le leadership locali, di fatto la Gran Bretagna pose fine». Stando ai dettami della storiografia nigeriana fondata da J. F. Ade Ajayi, il dominio europeo aveva interrotto ed espropriato un processo di centralizzazione e di modernizzazione ispirato dalla tradizione islamica iniziato con la prima jihad nel 1804. Così, quando il 1° ottobre 1960 la Nigeria approdò all’indipendenza si trovò a fare i conti con l’incongruenza delle istituzioni ereditate dal colonialismo. Di conseguenza, quando gli igbo del Biafra operarono la secessione nel 1967, il governo nigeriano tagliò fuori la neonata Repubblica da ogni comunicazione via terra con il mondo esterno, riducendo la popolazione alla fame; tanto che nel gennaio del 1970 la guerra si concluse con la ricomposizione dello Stato Federale Nigeriano e confermando, malgrado quella ferita, la persistenza delle frontiere coloniali. Come spiega Novati: «Le decisioni politiche e militari del governo della Nigeria, dei ribelli e degli attori internazionali (gli Stati e le compagnie petrolifere) erano ovviamente condizionate anche da interessi materiali». In Nigeria il governo federale continuò ad usufruire della solidarietà della Gran Bretagna, ma l’opinione pubblica mondiale criminalizzò il comportamento dei federali, mentre l’URSS armava la Nigeria per aumentare la propria influenza nella regione – come fece anche la Gran Bretagna – visto che le compagnie petrolifere più attive nel Paese erano americane. Portogallo, Israele e Cina mostrarono, invece, una discreta simpatia per la causa del Biafra; la prima in quanto anti-nigeriana sin dalla colonizzazione, la seconda per le affinità della sua stessa posizione all’interno del mondo arabo e la terza per cogliere l’occasione di contrapporsi alla politica di Mosca.

Come ha riassunto efficacemente il saggista Paolo Pecere: «La Nigeria è un’invenzione coloniale, un perimetro che include centinaia di etnie e lingue diverse, polarizzato tra il Nord islamico e il Sud cristiano». In Nigeria non ci sono mai stati colpi di Stato “apolitici” e la ragione è che il Paese è il maggiore produttore ed esportatore di petrolio dell’Africa. Con la ricchezza dei suoi giacimenti, la qualità del suo greggio – particolarmente vantaggiosa per le compagnie private – e la sua posizione geografica, è uno dei clienti prioritari di Stati Uniti ed Europa. Per questo motivo i nigeriani hanno pagato a caro prezzo il predominio di regimi militari corrotti, incapaci e altamente politicizzati. Ken Saro-Wiwa scrittore militante, venne impiccato il 10 novembre 1995 dal regime militare alleato degli Stati Uniti perché aveva osato schierarsi contro la multinazionale britannica Shell, che dal 1958 estrae petrolio nel territorio del delta del fiume Niger. Saro-Wiwa denunciò che la popolazione ogoni che vi abita oltre che essere avvelenata dall’inquinamento degli impianti industriali, era stata costretta all’emigrazione e alla miseria .

Lo strato di “gesso” che i vari governi nigeriani hanno apposto sul nome dei colonizzatori, proclamando la Nigeria indipendente nel 1960, non è abbastanza spesso. Proprio lo sforzo di applicare il concetto di damnatio memoriae ha accresciuto la difficoltà del popolo nigeriano di affermare la propria autonomia dall’influenza straniera e di riconoscersi in un unico sistema di valori e tradizioni. Sarebbe stato importante ricordare che a dare forma ad ogni nuovo cittadino erano state le condotte dei coloni, che avevano fatto di tutto per cancellare l’identità culturale del popolo nigeriano e per imporre il proprio sistema di valori. In ogni luogo del mondo nel quale i confini tra Stati sono stati tracciati su una mappa, senza tener conto dei legami ancestrali tra gli individui, si è potuto assistere a lotte intestine e ripetuti tentativi di imporre il potere politico con la forza, senza giungere ad una stabilità pacifica e duratura. L’esempio nigeriano ci fornisce l’esatta, drammatica percezione di come sia impossibile estirpare completamente l’imperialismo da un Paese che per lunghi anni ne è stato vittima. Come scrisse Pecere: «Il sistema chiamato Nigeria sembra l’ombra della società industriale, un condensato delle piaghe del capitalismo: sovrappopolazione, insufficienza di cibo e risorse naturali, inquinamento, dipendenza dai combustibili fossili.». Nel 1897 i due terzi del paese erano coperti dalla foresta, oggi meno del 4% percento. Il fiume sacro nella località di Oshogbo è color giallo paglierino perché da alcuni anni, quelli che scavano nelle miniere circostanti buttano i metalli nel fiume, che adesso è velenoso. In molti paesi la società è ancora costruita sulle antiche gerarchie tra i clan e le elezioni non sono che compravendite di voti.

La Nigeria ha bisogno di costruire una propria identità nazionale. Pecere racconta di uno degli ultimi boschi sacri degli Yoruba, un luogo dove vale un principio spirituale di una convivenza consacrato a Oshun, la dèa dell’acqua e della fertilità, dove è proibito cacciare, pescare e tagliare alberi. La leggenda locale narra di due cacciatori che tagliarono un tronco per fare il fuoco e udirono una voce irritata. Era Oshun, che protestava perché avevano distrutto uno dei suoi vasi. La realtà animista è così: gli spiriti sono ovunque e invisibili. Così Oshun per la prima volta si manifestò ai mortali e pretese per riparazione che ogni anno una vergine portasse offerte. Ancora oggi una cerimonia con doni e preghiere per Oshun ha luogo ad agosto. Oshun è scolpita sul metallo all’ingresso del parco in forma di sirena. È la prima di una serie di porte e sculture che compaiono qua e là nella vegetazione. Le opere che adornano il bosco sono il segno di una storia recente. Nel 1961 un’artista austriaca che viveva in Nigeria da alcuni anni e che s’era innamorata della cultura e dell’artigianato locali, Susanne Wenger, venne ordinata sacerdotessa e fondò una cooperativa di artisti con cui iniziò a lavorare nel bosco. Dopo di lei altri hanno continuato a lavorare la pietra in forme organiche. Racconta Pecere: «Il risultato è surreale: tra i giganteschi alberi di kapok, obeche e fraké, ci s’imbatte in sculture di pietra sinuose e slanciate, che sanno di arcaismo e insieme d’avanguardia.»

Forse il riscatto di questa stupenda nazione passa proprio dall’importanza ristabilire un rapporto di rispetto con la terra, immaginando modi innovativi di costruire il futuro.


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